London Calling: visita alla British Red Cross

Terza e ultima puntata della serie “London Calling”.

Come avevo già preannunciato, la terza puntata della serie London Calling avrebbe narrato la mia visita ad un’importante nonprofit con sede a Londra.

La rosa di candidati su cui lanciare scommesse non era certo ristretta; nella capitale britannica hanno sede, giusto per citarne alcune, il segretariato internazionale di Amnesty International, quello di Salvation Army, Oxfam,…

Grazie ad alcuni contatti, ma soprattutto alla insostituibile Elena (ve ne ho parlato qui), sono riuscito a visitare la sede della British Red Cross. Ve ne ho parlato molto spesso (qui, qui, e qui) perchè credo rappresenti un modello di efficienza negli interventi e di grande professionalità nella raccolta fondi. E con questa visita ne ho avuto conferma.

Dopo una telefonata che mi da la conferma della visita, prendo la metropolitana (circle line) e mi dirigo fino alla fermata Moorfields. Il mio contatto è una certa Annalisa.

La sede della British Red Cross è un edificio piuttosto modesto; un parallelepipedo di qualche piano, con un pianterreno costituito da ampie vetrate, tanto che da fuori si riesce a vedere tutto la reception. All’ingresso, in bella mostra, uno dei loro fuori strada usati durante le emergenze; in Inghilterra infatti sono molto attivi sul fronte dei disastri naturali.

La receptionist, una signora anziana e molto rassicurante, mi accoglie con cordialità: informa subito Annalisa del mio arrivo, mi consegna il Badge con il mo nome (Alberto Geone; devo imparare a fare lo spelling in Inglese…) e, una volta saputo che sono un volontario della Croce Rossa Italiana, mi regala una spilletta. Mancava solo che mi offrisse il tè!

Mentre aspetto Annalisa mi siedo sulle poltrone di attesa, sfogliando un loro volantino sulle donazioni regolari. Poco distante, due persone stanno siglando un accordo, con tanto di stretta di mano e foto di rito. Forse si tratta di una delle loro partnership, come quella con la Tesco.

Qualche minuto dopo una ragazza esce dall’ascensore: “Alberto, vero? Io sono Annalisa…”. Una volta che sinceratomi (con mio grandissimo solievo) che si tratta di un’italiana, Annalisa mi conduce al piano inferiore, dove si trova la loro mensa/ zona relax chiamata “Dunant’s dinner”. Comodamente seduti ad un tavolo, dopo avermi consegnato un pacchetto delle loro pubblicazioni e depliant, comincia la chiaccherata.

La mia “guida” è Annalisa, giovane italiana che dopo aver conseguito un master sul nonprofit e nel settore per qualche tempo in madrepatria si è trasferita in UK ed è entrata nella grande famiglia della Croce Rossa. Qui a Londra si occupa del training per i futuri delegati internazionali: un lavoro non da poco. “La BRC spende circa metà del budget in missioni all’estero” mi spiega Annalisa “e tiene moltissimo alla professionalità dei suoi interventi”. La BRC ad esempio fa parte del DEC, la versione inglese della nostra Agire.

“E in UK, come siete messi?” Dai dati che mi fornisce Annalisa, mi trovo davanti ad un’ONP più che florida. Circa 33.000 volontari, impiegati in numerose attività. Il fundraising, soprattutto grazie alla capillare rete di charity shops; l’insegnamento alla popolazione del primo soccorso; l’assistenza a concerti e altri eventi di massa; le attività socio-assistenziali,… L’età media dei volontari forse è un po’ alta, “ma stiamo studiando diversi modi per coinvolgere di più i giovani; è una delle priorità per i prossimi anni”.

I dipendenti invece in UK sono circa 3.000; alla sede di Londra, una volta assunto ognuno di loro segue un mini corso sulla storia e la struttura del Movimento di Croce Rossa e sul “first aid”; dovranno pure sentirla la mission, no?

due volontari durante la appeal week

Fuori dalla mensa trova spazio un piccolo museo, con qualche 4- 5 pezzi storici custoditi dentro teche di vetro; tra di questi, uno dei tanti “secchielli” che viene usato per la raccolta fondi per strada, soprattutto durante la appeal week.

Poi, una breve visita ai piani superiori; tutti open space con diverse persone al lavoro. Tra di questi, il piano dedicato alle operazioni all’estero, colorato da bandiere e ricordi dei paesi dove sono intervenuti, e una stanza con all’interno una piccola biblioteca, per garantire l’aggiornamento del personale. Trovano spazio riviste sul diritto internazionale umanitario, riviste di medicina e, ovviamente, quelle sul fundraising!

Tornato al piano terra, saluto Annalisa: è stata gentilissima a dedicarmi tutto questo tempo, ma per lei è venuto il momento di tornare al suo lavoro; la Croce Rossa non si ferma mai!

Uno degli slogan creati per invogliare la popolazione a imparare il primo soccorso è “Save a life!”, “Salva una vita!”. Alla British Red Cross ogni giorno ne salvano più di una.

London Calling: i charity shop

Eccoci tornati con la seconda puntata di “London Calling”, la mini-serie dedicata ad alcune riflessioni sul non profit inglese fatte durante un recente viaggio in Inghilterra.

La puntata di oggi è dedicata ad una delle attività di fundraising più tipiche oltre manica, nonchè una delle più redditizie, e che permette alle ONP locali di essere molto presenti sul territorio: i charity shop, appunto.

Ma cosa è un carity shop?

La vetrina di un charity shop della Cancer Research UK

Immaginiamo che voi abbiate qualche oggetto in buono stato che non usate più. Può essere l’ultimo poliziesco che avete letto, quel paio di occhiali da sole che sono anni che non mettete o quella camicia che ormai non è più della vostra taglia. Volete disfarvene, ma pensate che forse potrebbero ancora essere utili a qualcuno. Decidete allora di portarlo in un charity shop della ONP che sostenete.

Disseminati su praticamente tutto il territorio inglese, i charity shop sono negozi, gestiti direttamente dalle organizazioni non profit (tramite personale volontario e dipendente) dove i donatori posso portare della merce usata che poi viene rivenduta ai vari acquirenti (che, in fondo in fondo, sono donatori anche loro).

L'interno di un negozio

Da un articolo on line del Sole 24 Ore scopro che il primo di questi negozi fu aperto dalla British Red Cross nel 1941, e da allora tante altre organizzazioni l’hanno seguita. I charity shop inoltre hanno diversificato moltissimo la merce trattata; potete trovare libri, vestiti, cartoline, CD, DVD, gadgets della ONP (spille, magliette,…), cioccolato equo e solidale (come in quelli di Oxfam), e chi più ne ha più ne metta.

Quella dei charity shop è un’iniziativa che presenta numerosi vantaggi:

1) Consente all’ONP di avere una presenza fisica e stabile sul territorio; all’interno dei negozi è possibile trovare materiale informativo e fare domande ai volontari sulle attività dell’organizzazione.

2) E’ redditizia: soprattutto perchè i costi sono bassi (buona parte della merce viene donata e gran parte del personale è volontario)

3) Tratta articoli di successo: perché costano poco (cosa che, con la crisi economica in corso, può fare ancora più comodo) e perché si tratta di articoli “vintage”, verso i quali c’è un crescente interesse.

4) Inserisce i donatori in un circolo virtuoso: come dicevamo prima, è donatore chi cede della merce ma anche qui l’acquista! In fin dei conti, donare una paio di pantaloni che non sui più non è un gran sacrificio. Ma entrando magari prendi un volantino. Poi, decidi di fare una donazione per Natale. Poi…

Per chi volesse approfondire, qui trovate una puntata del podcast della British Red Cross dedicata all’esperienza di volontariato nei charity shop, e queste slides a loro dedicate.

Alla prossima!

London calling: il non profit in UK

Come promesso, prima puntata della serie “London Calling”, dedicata alle osservazioni fatte sul non profit inglese durante una breve vacanza a Londra.

In realtà, quando sono partito avevo l’intenzione di dare solo un’occhiata a quello che avrei visto.

Poi, appena arrivato in albergo, ho trovato sulla scrivania la brouchure che vedete a lato. Che spiega che, grazie ad un accordo tra la catena dell’albergo e la Cancer Research UK, alla fine della mia permanenza al conto sarebbe stata aggiunta una sterlina, donata poi appunto alla ricerca sul cancro. Geniale!

A quel punto mi sono chiesto: chissà quante altre cose troverò che potrei raccontare in Italia. Perciò grazie alla pazienza dei miei compagni di viaggio, che mi hanno permesso di fermarmi tutte le volte che ho trovato qualcosa di inerente. E che mi hanno permesso quindi di fare una serie di considerazioni.

La prima: l’Inghilterra è piena di non profit. A Londra ad esempio hanno sede molte importantissime organizzazioni (Amnesty, Oxfam, Salvation Army,…). Ma esiste anche un universo di organizzazioni più piccole, che coprono moltissimi bisogni.

“Nella cultura britannica, il ruolo di alcune istituzioni (come la famiglia o la Chiesa) è meno centrale che da noi” mi spiega Elena, una cara amica attualmente residente a Londra e che sta svolgendo una ricerca proprio sull’argomento, “quindi molti bisogni vengono coperti dal terzo settore”.

La seconda: il non profit è molto presente. E visibile. Accendendo la TV capita spesso (forse più che in Italia) di imbattersi in spot della British Heart Foundation o della Cancer Research UK (ad esempio questo, davvero stupendo). Ma in generale basta andare in strada per imbattersi in volontari che distribuiscono volantini, nelle sedi delle organizzazioni (sedi che si curano di rendere ben visibili) o in altre iniziative.

Quello che vedete qui a fianco ad esempio è un contenitore di vestiti per Oxfam. Ne ho trovato più di uno in giro per Londra, anche di altre ONG.

La terza: in UK fanno tantissimo fundraising, e in modi davvero geniali. Il caso dell’albergo è un esempio.

Una cosa che ho trovato singolare è che è molto facile trovare personale delle non profit in giro per strada con dei secchielli, sollecitando la gente a donare qualche moneta. Da noi una cosa del genere sarebbe forse etichettata come carità e vista di cattivo occhio. Li invece non solo è molto comune, non solo gli inglesi questi secchielli li riempono con le loro donazioni, ma è un’attività praticata anche da ONP molto importanti.

La prima volta che mi sono imbattuto nei famigerati secchielli ero…a teatro! una volta finito lo spettacolo We will rock you (musical con le canzoni dei Queen), quando il pubblico è ancora in sala, parte un registrazione con la voce di Brian May (chitarrista del gruppo) che invita a fare all’uscita una donazione in favore della fondazione per la lotta all’HIV nata in memoria di Freddy Mercury. Quando siamo arrivati all’uscita, ad ogni porta erano presenti dei volontari con i citati secchielli: senza essere per nulla invasivi, davano la possibilità a chi voleva di fare la sua donazione. Io l’ho fatta, e come me tanti altri.

E con la prima puntata è tutto: nella prossima si parlerà di una delle attività di fundraising più note in Inghilterra: in Charity Shops!