Cercare lavoro in UK è più facile

Non vorrei fare l’esterofilo (mai stato, e non intendo cominciare ora)… ma guardate questo sito.

http://www.charityjob.com/index-global.aspx

Non solo ci sono decine e decine di posizioni di ogni tipo per lavorare nel non profit… ma guardate come sono catalogate!

praticamente tutte contengono:

– Salario (eh si, si lavora anche per quello: meglio sapere quanto sarà, no?)

– Esperienza

– Compiti

– Descrizione dell’organizzazione

– ecc.

Sui (pochi) siti simili italiani o direttamente sui siti delle nostre non profit spesso le descrizioni sono “cercasi persona che raccolga fondi”. Tutto questo quando la posizione è aperta. Eh si, perchè la maggior parte delle volte si fa un reclutmento solo tra conoscenti o all’interno di una base ristrettissima.

Continuerò a tifare Italia ai mondiali e a preferire la pasta a uova e pancetta, ma… se devo cercare un lavoro, preferirei essere in UK.

“Gradita esperienza preferibilmente… nel profit”

Dal momento che a breve terminerà la mia esperienza lavorativa presso la Johns Hopkins University- SAIS Bologna Center, sto passando un bel po’ di tempo nella lettura degli annunci di lavoro e nel consuente invio di cv. Vorrei condividere con voi alcune osservazioni a rigurardo:

1) Esperienza: la chiedono tutti. Più che comprensibile, meglio assumere persone che conoscano già il lavoro, in modo che posssano portare anche altri spunti… ma davvero ne serve così tanta? Ho trovato annunci che per una posizione qualificata come “junior” chiedono 3-4 anni di esperienza nel settore. La domanda mi sorge spontanea: per essere senior quanta ne devo avere?

2) Contratti: la maggior parte delle volte è un contratto a progetto, spesso di 6 mesi. Capisco la cronica mancanza di fondi delle ONP, capisco la crisi economica, capisco persino la generale incertezza e precarietà che avvolge il terzo settore… ma davvero non si può dare un minimo di stabilizzazione in più? In sei mesi non si fa neanche un bambino, e invece nel terzo settore si chiede di entrare in un’organizzazione, imparare a conoscerla, elaborare un progetto e portare un risultato. Non è un po’ troppo poco tempo? Soprattutto perchè, quando guardo gli annunci in UK o USA, spesso trovo la dizione “permanent”… Credo che ci sia il serio rischio che i professionisti più bravi scelgano di andare nel profit o di emigrare all’stero: una grave perdita per il nostro paese.

3) Il terzo punto è quello che mi soprende di più; molto spesso trovo specificato “gradita precendente esperienza, preferibilmente nel profit”. Ma come nel profit? E’ da quando ho cominciato a interessarmi a questa professione, almeno tre anni fa, che sento dire che il terzo settore si sta professionalizzando, che “bisogna trovare una via italiana di fare fundraising”, che “noi del terzo settore non siamo i buoni, ma preparati professionisti che lavorano per una causa”,…

Poi però, quando si tratta di assumere, non si cercano le persone con esperienza di volontariato, corsi di formazione specifici e un bel po’ di stages (quasi sempre senza retribuzione), ma persone con una esperienza dal “pragmatico” profit. Mi sembra quasi che si dica “ok ragazzi, ora che assumiamo si fa sul serio: non servono idealisti, ma gente che porti risultati”. E costoro possono venire solo dal profit?

Di sicuro però mi sbaglio: probabilmente c’è un altro motivo per cui negli annunci trovo la richiesta di “esperienza preferibilmente nel profit”. Maggiore capacità di interagire con quel mondo? Stimoli e schemi completamente nuovi da portare nell’ONP? Una maggiore motivazione?

Sarei davvero grato se qualche responsabile delle risorse umane o qualche dirigente leggesse questo post e mi aiutasse a chiarire questo punto.

E voi che ne pensate?